Recollections
Since 1992:
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[1992]
In memoriam Valerio Tonini.
Nei mesi scorsi, all’alba del presente anno, è scomparso silenziosamente all’età di 91 anni Valerio Tonini. Sino a poche ore prima della sua morte aveva continuato a seguire da vicino il lavoro di preparazione del nuovo quaderno della Rivista da lui fondata nel lontano 1955 e da allora sempre amorevolmente seguita con una dedizione che aveva costituito una parte non piccola dell’impegno della sua vita. Finita la seconda guerra mondiale, scomparsi i grandi artefici della cultura italiana degli anni ‘30 e ‘40 del nostro secolo, nell’era, ormai, delle nuove ideologie, si trattava, come egli amava ripetere, di riprendere il cammino utilizzando come guida il filo nascosto della Ragione, un cammino, segnatamente, che fosse a misura della grandezza e della tragicità della storia trascorsa, ma capace, al tempo stesso, di annodare la trama di una storia altra e diversa, aperta in modo irreversibile al destino dell’Europa nel superamento di antiche incomprensioni e divisioni. Come uomo di cultura Egli sentì la necessità, per avviarsi lungo un cammino siffatto, di forgiare uno strumento del tutto particolare, atto ad illuminare ed a “segnare”, passo dopo passo, tramite la “docta manus”, i tratti di un percorso intellettuale nuovo, mai intrapreso prima nel nostro Paese in modo organico, un percorso capace dì condurre a rivelazione orizzonti culturali e scientifici nascosti così come, al limite, una vera e propria, nuova dimensione morale. Di qui la sorpresa, in quei lontani anni ‘50, della nascita in Italia di una Rivista di Filosofia delle scienze (quando ancora i professori di tale disciplina nelle Università italiane assommavano ad un totale di pochissime unità), la prima, per molti aspetti, a venire alla luce nel nostro Paese in questo settore, almeno ove si faccia riferimento precipuo alla compiutezza tematica ed alla organicità dei presupposti. Una sorpresa tanto più grande in quanto, fin dall’inizio, la Rivista nascente si rivelò aperta (e non poteva essere altrimenti) alla più qualificata collaborazione internazionale, ponendosi come strumento concreto di confronto tra le diverse culture. La sua “avidità “intellettuale ed il suo entusiasmo lo portarono a moltiplicare, lungo il cammino, i percorsi della esplorazione possibile, conducendolo, a volte, in territori impervi in cui altri non osavano arrischiarsi. Dalla Nuova Fisica alla Cibernetica, dalla Teoria della Informazione alle Scienze della evoluzione, dalla Biologia molecolare alla Sociologia della conoscenza, i quaderni de “La Nuova Critica” vennero via via affrontando, sempre in chiave rigorosamente monografica, molti dei principali temi che hanno costituito il tessuto della cultura scientifica e filosofica della seconda metà del nostro secolo. Il lavoro di un uomo solo che contagiava con il suo entusiasmo i collaboratori che con lui a mano a mano crescevano per intraprendere, poi, il proprio personale cammino, ebbe un costo molto alto in termini di fatica e di impegno, richiese uno sforzo continuo per un aggiornamento scientifico pressoché quotidiano ed a volte impossibile, dato l’incremento esponenziale delle conoscenze che si andava, nel frattempo, realizzando. Di qui la necessità da lui avvertita di inserire, in tempo reale, la crescita e lo sviluppo della Rivista sempre più nel contesto di un lavoro comune di ricerca svolto a livello internazionale. Di qui il collegamento strettissimo, anche se non sempre palese, della Rivista con le attività della Académie Internationale de Philosophie des Sciences di cui Egli fu membro titolare. Le discussioni svolte negli incontri della Académie divennero, per un lungo periodo, una vera e propria fucina per l’ideazione e la composizione dei nuovi quaderni. In questo modo, con il passare degli anni, tenacemente, con eguale fatica e senza il clamore di fame improbabili, egli venne seguitando il suo cammino, lieto ogni volta dei nuovi approdi raggiunti ed, al tempo stesso, mai pago. Al termine del percorso, consapevole della fine imminente, il suo pensiero fu quello di assicurare la continuità della Rivista, del lavoro della Critica. Dettò, in tal senso, le sue disposizioni per quello che egli riteneva essere un semplice avvicendamento di persone nella direzione della Rivista, un avvicendamento che doveva risultare esclusivamente in funzione di una invarianza e di una continuità più profonde (una invarianza ed una continuità che egli amava ritenere legate ad un tessuto connettivo più segreto a cui soleva riferirsi, talvolta, con termini di manzoniana memoria). In armonia con il suo desiderio il lavoro della Rivista è, così, continuato in silenzio con la preparazione della pubblicazione degli Atti del Convegno sul tema: “Dalla complessità alla emergenza del significato” (Roma, 1991), di cui il presente quaderno pubblica la prima parte. Studiosi di fama internazionale si sono andati aggiungendo al Comitato Scientifico. Altri se ne aggiungeranno in armonia ad una programmazione da lui stesso approvata. Questa continuità di impegno, nei limiti del possibile e delle poche forze a disposizione, è, forse, il modo migliore (aldilà dei convegni e delle celebrazioni “ufficiali” che verranno) per onorare e ricordare il lavoro di una Vita.
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[1993]
In memoriam Gaetano Kanizsa.
Che cosa ricordare, ora, di una lunga stagione di amicizia, di rispetto, di strana ammirazione? Che cosa ricordare dell’antico partigiano, del Maestro tenace, dell’uomo collerico e tenero, dell’amico dei suoi allievi? Carrellate improvvise di ricordi: il lungomare e gli amici, le montagne grigie e segrete del Friuli, la lunga teoria delle «stazioni», le «sparizioni» di Albertine ed il tuo riemergere dai pensieri, le tue ultime lettere, il pungolo per le cose ben fatte, la cura per un lavoro scientifico che doveva essere preciso, intessuto di pennellate intelligenti, costruito con ruvida pazienza. O forse i tuoi quadri, quello (a mio giudizio) più bello: «Il tronco», il ritratto della superficie in evoluzione del pensiero. Pensare e vedere. Distinzione della teoria e unità della pittura. O forse ancora una sera lontana (Cormons?), i disegni «archeologici su fazzoletti di carta (cippi e gnomi del tempo) dell’amico caro e comune e la pazienza con cui mi introducesti con pochi tratti di matita ai segreti della percolazione. Il disegno del fuoco delle praterie utilizzato per spiegare i misteri della organizzazione gestaltica, l’origine stessa delle Ur-Gestalten. Vi sono persone che hanno conosciuto la tua inflessibilità, raramente la tua benevolenza, che pure hanno ricevuto da te che «raccontavi» le illusioni, indicazioni e doni particolari e strani, di quelli che appaiono a volte fornire una guida (illusione anch’essa?) al fuoco delle praterie così come a quello dei pensieri.
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[2003]
In memoriam Vittorio Somenzi.
Nel 1970 apparve pressoché contemporaneamente in Italia ed in Francia il volume: Il Caso e la Necessità del premio Nobel J. Monod. Per molti aspetti, la pubblicazione di quel volume ha rappresentato una sorta di spartiacque della cultura scientifica del ‘900. Gli studi di Cibernetica, di Teoria degli automi e di Biologia molecolare così come si erano venuti sviluppando lungo il corso degli anni ’50 e ‘60 vennero a trovare in quelle pagine un punto di incontro ideale, una sintesi al cui interno venne anche a lievitare il senso stesso di una disciplina per molti aspetti nuova: la Bioetica, unitamente ad una meditazione lucida, ma accorata concernente gli stessi incerti destini dell’umanità. Era un libro audace, una sintesi innovativa e dirompente. Non fu un caso che Vittorio Somenzi lo adottò, in via immediata, per i Suoi corsi universitari. Quel volume ben si accordava con il percorso “storico” della sua attività di ricerca scientifica e con il cammino spesso tormentato delle Sue riflessioni a livello interiore. Partito come fisico (si era laureato a Milano nel 1940) ed impregnato di un amore sconfinato per la Natura e le sue leggi nonché per il percorso della scoperta da parte dell’uomo di tali leggi, un percorso in cui, a suo giudizio, a diritto, avrebbe dovuto albergare l’impresa umana nella sua forma più pura, Somenzi era venuto a mano a mano ad aprirsi ai nuovi campi del sapere con una progressione ed una “avidità” intellettuale che destano, ancora oggi, meraviglia: la Teoria dell’informazione, innanzitutto, la Teoria (e la Filosofia) degli automi, la Cibernetica, l’Evoluzionismo, le fondamenta della Biologia molecolare, il Darwinismo neurale costituirono soltanto i picchi di un panorama assai più vasto a cui Egli venne indirizzando progressivamente la Sua attenzione. Questa apertura continua di orizzonti (quasi “enciclopedica”, nel senso antico del termine) con cui Somenzi d’altronde nutriva (e spronava instancabilmente) i suoi allievi, era, tuttavia, sostenuta da una metodologia vigile e rigorosa: allievo di Bridgman e di Reichenbach, egli aveva coltivato per lungo tempo gli studi sull’Operazionismo (insieme a due tra i suoi amici più cari: G. Vaccarino e S. Ceccato) giungendo, infine, a tracciare un raccordo possibile tra tali studi e le prime grandi ricerche nel campo dei modelli cognitivi e della simulazione delle operazioni mentali così come esse vennero successivamente a profilarsi lungo il corso degli anni ’60. Ecco nascere, nel 1969, la fortunata antologia dal titolo, per quegli anni profondamente innovativo: La fisica della mente. Ritroviamo in questo volume molti dei suoi maestri dell’età di mezzo ed alcuni suoi compagni di cammino: da W. H. Pitts, H. Maturana e K. S. Lashley a K. J. Craik e D. T. Campbell. Agli albori degli anni ’70, i tempi erano ormai maturi per un approfondimento della disamina: non si trattava più soltanto di individuare le basi fisiche del pensiero e delle operazioni mentali: era ormai possibile (e necessario) entrare dentro le radici biologiche di questo stesso pensiero, giungere a vedere ed a considerare la vita stessa in primis come cognizione dispiegata e ad indagarla, al tempo stesso, iuxta propria principia, in accordo, cioè, innanzitutto, allo statuto proprio degli studi di Biologia molecolare. Di qui l’importanza, per Vittorio Somenzi così come per tutto uno stuolo di studiosi tra i più avvertiti e consapevoli di quel momento storico, rivestita dal testo di Monod. Un volume piano, comprensibile che fondeva insieme, in modo mirabile, temi, metodi e concetti che provenivano dalle scienze più disparate e che giungeva, tuttavia, a ricostruire, a livello del modello, il disegno segreto proprio dell’unità organica del vivente in accordo, appunto, a quelli che erano stati i “sogni” ed i programmi del giovane Somenzi in età scolare. Un volume che, inoltre, si interrogava sui misteri della coscienza ed apriva il suo sguardo sui confini stessi delle responsabilità dello scienziato. I dieci anni che seguirono furono tra i più intensi per quel che concerne lo sviluppo del percorso di ricerca di Somenzi e la sua attività di insegnante e Maestro. Tra i tanti eventi che caratterizzarono quegli anni vi fu anche il progressivo consolidamento della personale amicizia che legava Vittorio Somenzi a Valerio Tonini, Fondatore e direttore de La Nuova Critica, Tonini, ingegnere, in preda anch’egli ad uno sconfinato amore per la scienza e per le “meraviglie” del Creato venne a trovare in Somenzi non solo un amico fidato, ma anche un supporto reale per la realizzazione della sua opera primaria: la serie di quaderni di quella Rivista in cui egli era venuto riponendo la sua anima più segreta. Agli inizi degli anni ’80, la Rivista giungerà a pubblicare quattro quaderni sul tema: "La vita e la scienza", quaderni a cui Somenzi parteciperà in prima persona e che includono scritti di una molteplicità di grandi studiosi (tra cui vari premi Nobel) in molti casi a lui legati da vincoli di stima e di amicizia. La pubblicazione di quei quaderni segnò un punto di svolta per la Rivista stessa: negli anni successivi un allievo di Somenzi giunse ad assumere la direzione della Rivista su designazione del suo Fondatore. Al momento della scomparsa di Vittorio Somenzi ci si è interrogati, all’interno della Rivista, su quale avrebbe potuto essere la maniera migliore per accomiatarsi da lui in accordo, innanzitutto, a quel modo sommesso (quell’attenzione gentile) che gli era congeniale, a quella “assorta umanità” (la definizione è di Vincenzo Cappelletti) che costituiva uno dei tratti che meglio caratterizzava il suo spirito. Nacque, così. l’idea di raccogliere in un quaderno unitario dei saggi in suo onore, saggi che fossero, però, scritti ed “offerti” da amici e colleghi che con lui avevano diviso, in larga misura, l’avventura di quei lontani anni ‘70 che tanto avevano rappresentato nella storia personale e scientifica del Maestro scomparso. Quasi un taglio sincronico capace di fermare nello spazio di un quaderno il tempo di un ricordo. Naturalmente, ragioni contingenti, legate in primis ai limiti oggettivi dello spazio a disposizione, non hanno permesso di richiedere e di ospitare tutti gli interventi che si sarebbe auspicato. Così, da Giorgio Facchi a Ruggero Pierantoni a Giuseppe Vaccarino a Corrado Boehm a Giorgio Careri a Pietro Omodeo fino a tutti i colleghi di quel Dipartimento di Filosofia dell’Università di Roma La Sapienza in cui Somenzi ha speso gran parte della sua vita di studioso, tutto uno stuolo di studiosi cari a Somenzi ed a lui vicini in quel periodo cruciale, non sono presenti con la loro firma in questo quaderno. Lo saranno sicuramente (o lo sono già stati) in occasione di altre commemorazioni su altre Riviste o volumi, commemorazioni che vedranno sicuramente (ed in alcuni casi hanno già visto) la presenza anche di quella moltitudine di allievi che negli anni ’70 e in quelli successivi erano ancora impegnati negli studi universitari sotto la sua guida e che ora, in molti casi, sono studiosi affermati e validi insegnanti. A nostro giudizio queste limitazioni, pur oggettive, non intaccano lo spirito del presente “ricordo”, sottolineano, al contrario, quanto sia stata grande e molteplice l’umanità di Vittorio Somenzi nonché la sua statura di studioso e di Maestro: non vi è quaderno alcuno di Rivista che avrebbe potuto rendere onore, in modo sufficientemente adeguato, ad una seminal mind come la sua.
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[2010]
In memoriam Elisabeth Leinfellner and Werner Leinfellner.
Arturo Carsetti and Franz Wuketits
On 4 January 2010 Elisabeth Leinfellner died, and only three months later, on 6 April, Werner Leinfellner passed. Both were remarkable intellectuals and strongly devoted to their scientific work. Both were engaged in many projects, co-organized several outstanding symposia and meetings and thus helped establish communication among scientists and philosophers from all over the world. Most remarkably, in 1976 they co-founded the Austrian Wittgenstein Society and the International Wittgenstein Symposia in Kirchberg am Wechsel (Lower Austria) that, by now, have taken place more than thirty times and brought together researchers from all continents and all scientific and philosophical disciplines. Elisabeth and Werner Leinfellner initially lived and worked in Austria, but spent almost twenty years of their academic careers in the United States. In 1986 they returned to Austria, but continued lecturing at American universities at different occasions. Elisabeth Leinfellner was born in 1938. She was trained as a linguist, but was also very much interested in philosophical questions. Actually, she had wide-ranged interests, and her work covers problems, concepts and approaches in semantics, text linguistics, rhetoric, political discourse, and philosophy of language and its history. Particularly, she focused on Ludwig Wittgenstein and the philosopher and writer Fritz Mauthner. However, she also published on causality and language, on Habermas’ theory of communicative competence from a linguistic point of view and on William Ockham’s and Franz Brentano’s work in the light of semantics. Her book on euphemism in political language (Der Euphemismus in der politischen Sprache) deserves particular attention. Also, she co-authored a book on Ludwig Wittgenstein as a primary-school teacher in Lower Austria. Finally, it should be mentioned that she drew our attention to texts and their meanings as evolutionary systems. Since Elisabeth and Werner Leinfellner’s biographies intertwined not only at a personal, but also at a scientific level, it should not come as a surprise that they co-authored some publications, most notably a book on ontology, systems theory and semantics (Ontologie, Systemtheorie und Semantik). This comprehensive, scholarly written volume is an original attempt to connect the traditional philosophical field of ontology with a cognitive recursive semantics. It includes 477 pages and reflects the authors’ broad knowledge in different rather specialized disciplines as well as their abilities to synthesize ideas. The book bridges the abyss between ordinary language and the language of theories. It demonstrates that both are governed by the same semantic regularities. Werner Leinfellner was born in 1921. He studied chemistry and philosophy, but his main interest was philosophy, especially epistemology and philosophy of science. However, he never lost his close contact to the natural sciences. Early in his career, Werner Leinfellner published two books on the genesis of theory and on the structure of scientific theories (Die Entstehung der Theorie and Struktur und Aufbau wissenschaftlicher Theorien). Most remarkable is his introduction to epistemology and philosophy of science (Einführung in die Erkenntnis- und Wissenschaftstheorie). This book was published in three editions; about 65 000 copies were sold, and it was for some time the widest-spread introductory text to modern epistemology and philosophy of science in German speaking countries. Werner Leinfellner did also some pioneering work in game and decision theory which is documented by numerous of his papers. Shortly after he and his wife had moved to the United States, he founded the international journal Theory and Decision and the international book series Theory and Decision Library which, in the meantime, includes many dozens of prestigious volumes. Later in his career he was very much attracted by evolutionary theory and evolutionary epistemology, and gave evolutionary thinking a fresh impetus from a game theoretic point of view. It must not be forgotten that Werner Leinfellner was also interested in social philosophy and ethics. In his perspective, a human society is an institution having the task to solve conflicts in an optimal way. He applied decision and game theory to the study of social systems and thus showed how optimal conflict solution can be rendered possible. Consequently, he considered ethics as applied science. He referred to Moritz Schlick’s social ethics and emphasized that social motives and success increase our happiness. Hence, he argued that moral systems have to be based on a knowledge of human preferences and desires and must include positive stimuli (and not just commands and prohibitions). Werner Leinfellner’s oeuvre stands in stark contrast to traditional, idealistic philosophy. Inspired by the leading figures of the Vienna Circle, it is a serious – and successful – attempt to establish philosophy on scientific grounds and to avoid all types of obscurantism. It shows, what “philosophy in action” really means. Here it is, of course, not possible to give a comprehensive account of Elisabeth and Werner Leinfellner’s work. Regarding Werner, we want to hint at two issues of La Nuova Critica (36, 37-38, 2000, 2001); they were dedicated to him at the occasion of his 80th birthday. However, it should be pointed out, that Elisabeth and Werner Leinfellner were not only distinguished scholars, but also distinguished personalities. They were both cooperative and always ready to help. They were always busy, but at the same time accessible. They were very social, not at all complicated, and it was a pleasure to meet them. Both were a source of intellectual inspiration, even if the conversation was centered on trivial every-day matters. Both were open minded in the best humanist tradition. Anyone who had the privilege to know them or even to consider them as friends, will keep them in best remembrance.
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[2012]
In memoriam Rita Levi Montalcini.
Alle molte voci che si sono levate in questi ultimi mesi per ricordare Rita Levi Montalcini e la sua opera di grande scienziata e di studiosa insigne in campi diversi del sapere, nonché le grandi battaglie da Lei combattute strenuamente, in prima linea, in difesa della civiltà e per l'affermazione della libertà e dei diritti dell'uomo, vorrei aggiungere, per tramite delle parole del suo Direttore, anche la voce de "La Nuova Critica", una Rivista che Rita Levi Montalcini ha seguito, stimato e difeso lungo il corso di decenni ed a cui ha offerto costantemente la Sua preziosa collaborazione. Ho conosciuto Rita or sono più di quaranta anni. Fu uno dei tanti doni di un uomo, Vittorio Somenzi, generoso, dalla intelligenza profonda, caparbio, a volte immemore e perduto nel suo sogno, capace sempre di trasmettere, in modo raro, il suo amore per la scienza a tutti coloro che avevano la fortuna di incontrarlo. Anche Rita che di tanto in tanto, dopo il suo ritorno a Roma, andava a trovarlo nella sua casa romana, ricca di tanti libri tutti perfettamente ordinati nella sua mente, non poté non subire il fascino del suo entusiasmo. Non dell'entusiasmo per la scienza, rispetto al quale lo stesso Vittorio la considerava maestra ineguagliabile, bensì dell'entusiasmo per la epistemologia, per le ardite diatribe sul valore, le possibilità e i limiti della scienza e dei suoi metodi. Era un piacere non facilmente descrivibile per me vederli parlare con tanta delicatezza e rispetto reciproco di temi che andarono, poi, popolando i loro molteplici scritti tra cui sono, appunto, anche da annoverare quelli confluiti nei Quaderni de "La Nuova Critica" ed in particolare nei Quaderni dedicati alla serie "La vita e la scienza" con papers a firma anche di alcuni premi Nobel, incluso F. Crick, nonché di M. Ageno, F. Varela, V. Tonini, H. Maturana e tanti altri. Avevo conosciuto nel 1970 tramite Enrico Castelli, uomo di raffinata intelligenza e di inesauribile cultura, Valerio Tonini, il fondatore nel 1955 de "La Nuova Critica" di cui Vittorio era amico fedele ed estimatore. Egli ebbe parole di stima per un articolo che avevo appena dato alle stampe. Fu quasi naturale che colui che scrive venisse chiamato da Valerio, anche su indicazione di Somenzi, al suo fianco per sostenerlo nella non comune fatica di "nutrire" la sua opera prediletta, quella Rivista per la quale egli aveva anche abbandonato il suo lavoro professionale in modo da essere ancora più sicuro di poter dedicare tutte le sue energie ad essa e alla ricerca nel campo della epistemologia e delle scienze umane. La sua passione divenne anche la mia. La cura dei Quaderni si rivelò occasione preziosa di colloqui con Rita. Ricordo ancora con emozione quando Rita all'inizio mi disse che avrei dovuto farle avere tutti i fascicoli della Rivista a mano a mano che essi venivano ad essere dati alla stampa. Conobbe Valerio e lesse attentamente vari suoi lavori, uno, in particolare, attrasse la sua attenzione: "Civiltà 2000. La sfida della Ragione" (1985), un libro per certi versi profetico. La lettura di questo Quaderno segnò, per alcuni aspetti, un punto di svolta nel cammino intellettuale di Rita per quel che concerneva il Suo interesse per le scienze umani e sociali, le additò degli orizzonti, come ella ebbe a dirmi, che vennero, poi, ad essere esplorati in importanti volumi da lei pubblicati successivamente. Un giorno che andai a trovarla, su suo invito, nella sua casa romana di Villa Massimo fu con sorpresa che entrando vidi sulla sinistra del salottino, ricco di piante e intriso d'arte, i fascicoli della Rivista tutti bene ordinati e ricchi di "orecchiette" e di post-it vergati di suo pugno che parlavano di un percorso di attente letture. Capii che l'amore per la epistemologia andava dilagando nel Suo animo e di ciò furono anche testimonianza molti dei volumi che ella andò scrivendo negli anni e che l'hanno accompagnata negli ultimi decenni della sua vita. Da grande scienziata quale era il suo atteggiamento fu sempre molto schivo, in sé umile, poneva domande, dichiarava ad ogni piè sospinto la sua incompetenza: non era un semplice vezzo, era rispetto per l'interlocutore, testimonianza di stima per lui e per il patrimonio di conoscenze a cui aveva spesso dedicato una vita, ma era anche rispetto per le infinite distese del sapere a cui il suo animo anelava con una tensione che non veniva mai meno. Quando, nel 1995, la Rivista dedicò a Valerio un volume di Saggi in suo onore, Rita contribuì con un articolo il cui titolo: "Scienza e Tecnica per la sopravvivenza della specie" illustra, sotto vari aspetti, in modo icastico le motivazioni che la conducevano ad addentrarsi nella esplorazione di territori che non erano quelli di sua diretta ed originaria elezione. I suoi riferimenti alle valutazioni espresse da Valerio nel Quaderno sopra citato ed in altri volumi è costante e sempre pour cause. Egualmente nel 2005, dopo la scomparsa di Vittorio Somenzi, nel paper da lei offerto in onore dell'amico scomparso, apparso nel fascicolo 45-46 della Rivista (pubblicato nel 2005), ella si giunse a confrontarsi con un tema che aveva rappresentato uno dei cavalli di battaglia dell'analisi portata avanti di Vittorio lungo tutta la sua vita: "Intelligenza naturale e intelligenza artificiale", un tema, peraltro, che, in una prospettiva più vasta, aveva già visto, nel Quaderno 69-70 (Prima Serie), il confronto diretto di Rita con le idee espresse dallo stesso Somenzi, nonché da F. Crick, J. P. Changeux ed A. Carsetti. A questo proposito, ricordo come nel 2004-5 avendo ancora bene in mente la splendida serie di medaglioni scritti con una sapienza stilistica ed una partecipazione emozionale senza pari da Rita, dedicati, tra gli altri, a Giacomo Ulivi, alla comune amica Marcella Nazzaro, a Vito Volterra, a Max Delbruck ed a Primo Levi (pubblicati originariamente nel 1993 nell'Annuario della Fondazione Schlesinger), avevo sognato di chiederle la stesura di un medaglione anche per Vittorio. Era un sogno impossibile, data anche la struttura interna al volume in suo onore, ma fui in quel momento lieto che quel sogno, mai espresso, peraltro, neppure come tale, fosse affiorato alla mia mente. Negli anni i punti di incontro vennero moltiplicandosi: auspice all'inizio Valerio (ma anche V. Somenzi, F. Varela, S. Grossberg, J. Petitot e tanti altri) la Rivista venne a toccare campi del sapere quali la Neurodinamica, la Teoria dei Neural Networks ecc. sino ad occuparsi, negli ultimi anni, dei temi propri della Neurogeometria. Nel frattempo Rita venne ad ampliare, se possibile, il raggio della sua azione con la nascita dell'EBRI, con il disegno e la realizzazione della Sua Fondazione. Ricordo il momento in cui alcuni visiting professors che operavano nell'ambito di Congressi promossi da "La Nuova Critica", come, ad esempio, S. Grossberg dell'Università di Boston, vennero ad incrociarsi intellettualmente in Roma con studiosi italiani che avevano lavorato presso il MIT e che Rita aveva invitato a parlare presso l'Accademia dei Lincei nell'ambito delle operazioni di costituzione e di presentazione del suo Centro prediletto. Ma il rapporto di Rita con la Rivista non si limitò soltanto ad un fecondo scambio culturale: ella si batté anche per la Rivista quando la vide in pericolo sul piano accademico (e non solo). Nel 1997 scrisse un appello in favore della sopravvivenza della Rivista che, data la sua autorevolezza, fu prontamente accolto a livello accademico, un appello le cui parole fu giocoforza che venissero ad essere riprese, sia pure in piccola parte, molti anni più tardi dal Comitato Scientifico (di cui ella ha fatto parte per oltre quaranta anni sino alla sua morte) perché esse potessero venire ad essere fatte proprie da molti illustri scienziati operanti a livello internazionale (da H. Atlan a S. Grossberg, da J. Petitot a C. Calude, da B. Cooper a J. Lorenceau, da J.P. Delahaye a G. Chaitin ecc.) che negli ultimi decenni avevano contribuito, in modo effettivo, alla crescita ed alla affermazione, a livello intellettuale, della Rivista. In effetti, già nel 2007 la rivista era giunta ad essere riconosciuta, quasi a nostra insaputa, come una delle due Riviste di Filosofia della scienza operanti in Italia degne di essere inserite nell'INDEX europeo (ERIH) delle Riviste scientifiche. Si trattava di un traguardo che veniva sommandosi ad altri e, per certi aspetti, più prestigiosi riconoscimenti, un traguardo che era già nell'animo e nella speranza del Fondatore della Rivista che aveva sempre divisato la sua Rivista in una ottica europea. A volte mi piace pensare che lungo il corso dei quaranta anni che hanno visto Rita sempre presente nel Comitato Scientifico, un barlume della sua indomita energia si sia trasmesso nelle vene della creatura prediletta di Valerio Tonini favorendo il dipanarsi autonomo di una temperie culturale insolita nell'Italia del secondo Novecento. Una temperie che ha visto gemmare al suo interno ricerche e studi che sono andati spaziando, per citare solo alcuni argomenti, dalla Teoria della autorganizzazione alla Teoria dei sistemi complessi, dagli studi sulla Morfogenesi alla Teoria della Computabilità, dagli orizzonti teorici della Meccanica quantistica all'Analisi non standard, dalla Epistemologia dei sistemi a quella della mente, dalla Neurogeometria alla Semantica denotazionale ed alla Teoria dell'informazione semantica.